A 40 anni dall’omicidio di Walter Tobagi; il ricordo di Riccardo Nencini
Sono trascorsi quarant’anni dal quel 28 maggio 1980 in cui fu barbaramente ucciso il giornalista e socialista Walter Tobagi.
Pochi omicidi degli anni del terrorismo impressionarono a fondo l’opinione pubblica di allora come quell’omicidio; due terroristi della neonata Brigata XXVIII Marzo, Marco Barbone e Mario Marano, lo colpirono con cinque colpi per strada, poi Barbone cercò di finirlo con un colpo di grazia, inutile in quanto Tobagi era già morto.
Le BR avevano già colpito altri giornalisti, tre anni prima avevano ucciso Carlo Casalegno, vicedirettore della Stampa, ferito Indro Montanelli e, poco prima dell’omicidio Tobagi, ferito anche Guido Passalacqua di Repubblica.
Ma la morte di Tobagi fu in un certo senso ancora più sconvolgente; era un giovane uomo di appena 33 anni, molto brillante, un uomo di sinistra, socialista e cattolico, con alle spalle esperienze redazionali all’Avanti! e poi all’Avvenire.
Un vero socialista, progressista e riformatore, un uomo a cui gli fu negata la vita ancora all’inizio e impedito ai suoi ideali e alle sue aspirazioni la possibilità di potersi esprime in forma compiuta.
Ricorda Walter Tobagi anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che dice: “Era un democratico, un riformatore, e questo risultava insopportabile al fanatismo estremista” e alle parole del Presidente fa riferimento il ricordo del senatore Riccardo Nencini: “ Signor Presidente Mattarella, grazie per il suo giudizio sull’avventura di vita di Walter Tobagi.
‘Un giornalista libero’, basta così. Non l’ho mai conosciuto ma di lui ho letto molto. Libero e, aggiungo, eretico rispetto a certo giornalismo di sinistra e a certi salotti che solo raramente affrontarono il nodo terrorismo con decisione e verità.
Si, Tobagi fu un democratico e un riformatore, ma per una volta voglio usare un linguaggio politico: era un socialista riformista e libertario, uno dei tanti che, in una stagione di ferro e di piombo, decise di vivere fuori dal coro.
Lo ammazzarono oggi, diversi anni fa. La vera ragione, una volta tanto, la scrissero i suoi sicari: ‘caposcuola di una tendenza intelligente di giornalismo’.
Proprio così. Traduzione: articoli sul terrorismo scritti senza ambiguità, diretti, incisivi. Fino all’ultimo. Il socialista Tobagi rompeva i coglioni”.
Infatti Walter Tobagi, fin dall’inizio degli anni settanta, aveva scritto un libro importante sul Movimento studentesco e i gruppi marxisti-leninisti, cercando di comprenderne e capirne il percorso culturale e sociale del terrorismo, ammesso e non concesso che ne avesse uno, e ha seguito il suo evolversi con rigore quasi scientifico, ma senza furori ideologici e nessun preconcetto.
Prosegue Nencini “ A brigatisti e dintorni, e non solo. Walter è il presidente di Stampa Democratica. Scrive Massimo Fini: da quel giorno per certa sinistra vicina al PCI diventammo i nemici.
Alle persone che ha amato, che lo hanno amato, un abbraccio forte davvero.”
Forti sono pure le parole di Benedetta Tobagi, figlia del giornalista, nella sua pubblicazione " Walter Tobagi, memoria per le nuove generazioni “.
" La memoria di mio padre è stata coltivata soprattutto dal partito socialista: era un’epoca in cui ogni parte politica, ogni soggetto aveva i propri martiri.
La prima volta che un esponente degli allora Ds, Beppe Giulietti, è venuto a una celebrazione, c’era già stata, appunto, la svolta della Bolognina (novembre 1989, ndr). Questa era l’Italia dei partiti, la conflittualità tra socialisti e comunisti era fortissima.
Del resto ugualmente assenti furono i democristiani o i repubblicani: Tobagi era il martire del Psi. Essendo un giornalista, era un personaggio noto e molto commemorato da chi aveva idee e sensibilità vicine alle sue.
Quando ho incontrato gli orfani dei poliziotti uccisi, le loro madri che hanno vissuto nella miseria e nell’oblio, mi sono resa conto della ferita e dell’umiliazione provocate da quell’esperienza.
Un importante cambiamento c’è stato nel corso degli anni 2000, quando si sono creati spazi di commemorazione istituzionale che fossero comuni, ospitati in una sede alta come il Quirinale: un modo per non appiattire nell’indistinto le diverse storie e al tempo stesso coltivarne insieme la memoria».
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