L'ATTENTATO DEL 10 OTTOBRE AD ANKARA CONTRO UNA MANIFESTAZIONE PACIFISTA SEMBRA DELINEARE UNA STRATEGIA DELLA TENSIONE IN TURCHIA COME FU NEL NOSTRO PAESE NEGLI ANNI '70

L’attentato ad Ankara dello scorso 10 ottobre contro i partecipanti ad una manifestazione per la pace è il peggiore nella storia della Turchia moderna; si contano almeno 128 morti e più di 500 i feriti, diversi in gravi condizioni.

Bomba di Stato, strategia della tensione, Stato profondo sono le parole che attualmente stanno circolando in una parte dell’opinione pubblica turca per cercare di cogliere il senso di questo orrendo attentato e a noi italiani fanno tornare in mente un periodo buio, quello del terrorismo nero, rosso, di Gladio, dei servizi deviati, di quelli stranieri, dei legami tra Stato e criminalità organizzata.

E la Turchia di oggi, come l’Italia di allora, ha la sfortuna di essere una pedina in una scacchiera in cui gli attori preferiscono agire nell’ombra piuttosto che alla luce del sole e per cui il fine giustifica qualsiasi mezzo.

Questi 128 morti confermano le peggiori previsioni di una campagna elettorale esasperata e insanguinata e, al di là delle responsabilità che saranno accertate nei prossimi giorni, non vi è dubbio che una buona fetta della responsabilità politica di quanto sta avvenendo in queste ore nel paese sia da attribuire a chi nel governo turco non ha lavorato per favorire nel Paese un clima di tolleranza reciproca.

Infatti una parte della maggioranza di governo, certamente non brillando di lungimiranza, prima non ha creato le condizioni per un'alleanza responsabile con i tradizionali oppositori kemalisti, poi ha condotto una violenta campagna anticurda ingenerando un'atmosfera di diffidenza nei loro confronti, con il solo fine di far perdere al partito filocurdo dell'HDP quei pochi punti percentuali che consentirebbero all'AKP, partito di Erdogan, di riprendersi la maggioranza assoluta, in un gioco al massacro che sta dando frutti drammatici.

Le incombenti elezioni di novembre e il clima di tensione che si respira ad Ankara rischia di peggiorare col passare dei giorni; non a caso decine di migliaia di persone si sono radunate in diverse località della Turchia per urlare la loro rabbia nei confronti di un governo che viene considerato responsabile di questo crimine.

Ma indipendentemente dalle responsabilità su questo attentato, ancora non chiarite, appare inoltre evidente come la Turchia abbia giocato col fuoco dei gruppi jihadisti, utilizzandoli nella lotta contro i curdi e fornendo assistenza ai gruppi che combattono contro Assad in Siria.

Quindi la strategia di Erdogan appare abbastanza delineata; da un lato lotta senza quartiere al movimento filo curdo del HDP e del braccio armato curdo PKK, utilizzando per tale scopo anche le bande dei terroristi dell’Isis, dall’altro l’esigenza di mostrarsi all’opinione pubblica turca quale unico interlocutore in grado di assicurare al Paese tranquillità e sicurezza.

Il tutto per cercare di creare le condizioni migliori per il suo partito di ispirazione islamica in vista delle prossime elezioni di novembre, dopo averlo visto uscire dalle recenti di giugno rimaneggiato e senza aver ottenuto quello che sperava di più ovvero la maggioranza assoluta.

E il clima che si è venuto a creare in Turchia è forse paragonabile a quello in Italia a cavallo degli anni settanta e ottanta quando, per evitare di avere i comunisti al Governo, servizi deviati, con la complicità di potenze straniere, si resero protagonisti di pagine nere della nostra storia, da piazza Fontana alla stazione di Bologna; tutto ciò in un momento in cui il posizionamento internazionale del paese è cruciale nella partita contro lo Stato Islamico e nella dinamica dei rapporti Usa-Russia-mondo arabo.

Questa strategia della tensione in Turchia è funzionale per distogliere l’opinione pubblica da una realtà che vede un paese che sta attraversando una crisi forse mai vista negli ultimi 15 anni, un paese molto fragile e debole nella sua politica interna, ma tuttavia capace di condizionare e avere delle ripercussioni importantissime sul piano internazionale.

Paese debole ed instabile, un ex impero che in pochi anni era diventato una nuova potenza economica, ma che paga adesso tutte le sue contraddizioni; Erdogan, sempre più nazionalista ed autoritario e sensibile ai piani di un islam tradizionale, ha usato il pugno duro contro gli avversari , gli oppositori, la stampa, gli ambientalisti e la minoranza curda che gli ha tolto la maggioranza assoluta alle elezioni di giugno.

Ma appare con nettezza anche un’Europa assolutamente incapace di rompere con Ankara, nonostante la totale mancanza di democrazia e di fronte a questi fatti criminosi.

E la dimostrazione di quanto sopra appare chiara nelle parole del nostro Ministro degli Esteri Angeloni nella sua intervista alla trasmissione televisiva Agorà del 13 ottobre in cui dice “ Molta apprensione per la Turchia per quanto sta accadendo e apprensione per quanto potrà accadere da qui alle prossime elezioni di novembre …. Una grandissima preoccupazione perché la Turchia, confinando con la Siria, ha un ruolo strategico e fondamentale per la NATO, è un nostro alleato ed è un Paese in cui la dinamica con i curdi è sempre preoccupante ”.

No, non è proprio così caro Ministro, non si può dimenticare la mancanza di democrazia in Turchia o confinare la questione curda ad una “dinamica preoccupante” solo perché è un nostro alleato ed è fondamentale il suo apporto nella NATO, ma bisogna assolutamente pretendere da parte di Erdogan il rispetto dei diritti e delle minoranze nel suo Paese.

Non è attraverso questa realpolitik che può passare la politica estera italiana ed europea, non è con il dimenticare le legittime aspettative curde, le libertà negate al popolo turco, il bavaglio alla stampa, ai media e ai socialnetwork, che vengono rispettati i principi fondanti e fondamentali del nostro Paese e dell’Europa.

Come possiamo dimenticare infatti che proprio questa realpolitik ha di fatto cancellato il genocidio del popolo armeno da parte dell’esercito turco, ricordato recentemente solo dal Pontefice?

Caro Ministro,se non si vuole la destabilizzazione di tutta l’area mediorientale il passaggio obbligato passa attraverso la democratizzazione e una nuova fase politica in Turchia dove tutti sono rappresentati, compreso il popolo curdo; l’alternativa è la vittoria, come lo fu nel nostro Pese negli anno ’70, della strategia della tensione e dello stragismo.

   
 
   
   
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