Se
ci sarà una ripresa economica, seppur
piccola, in Europa, cosa non ancora provata
da nessuno nonostante le continue
rassicurazioni che i responsabili economici
danno, questa sarà legata nel prossimo
periodo essenzialmente nello sviluppo e
nella crescita occupazionale in tre grandi
settori; quello digitale legato all’uso
delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione, quello verde legato al
risparmio e alla riconversione energetica e
quello bianco, ossia all’insieme della
attività sociosanitarie legate
all’invecchiamento sempre crescente della
popolazione nel nostro continente.
Per
quanto riguarda invece nello specifico il
nostro Paese va sottolineato purtroppo che
in tutti e tre questi ambiti esistono
ostacoli e colli di bottiglia che incidono
pesantemente sui nostri sforzi incentrati
allo sviluppo e l’innovazione e, in un mondo
globalizzato ed in un’ Europa sempre più
integrata, allontanano di fatto l’Italia
dagli altri Paesi e dai benefici di una
possibile e auspicata ripresa economica.
Uno
dei più grossi handicap che il nostro
sistema economico ha rispetto agli altri sta
nel fatto che la maggior parte del nostro
tessuto industriale è composto da aziende di
piccole se non piccolissime dimensioni, con
pochi dipendenti, non quotate in borsa, e
che quindi non possono competere in fatto di
innovazione tecnologica e di ricerca.
E
il deficit di innovazione e ricerca porterà
inevitabilmente il nostro sistema produttivo
a perdere sempre maggiore competitività
rispetto ad altri paesi e, conseguentemente,
perdite di occupazione.
Ma
ciò che frena forse ancor di più il nostro
sistema produttivo è la burocrazia; una
burocrazia diventata ormai una struttura
talmente rigida da ingessare i rapporti tra
Stato e imprese, creando di fatto una
contrapposizione tra il pubblico e il
privato.
In
questa maniera vengono di fatto creati i
presupposti che frenano pesantemente il
nostro sistema produttivo e un sistema in
cui una delle sue parti essenziali non
funziona diventa esso stesso un sistema non
competitivo.
E
che il peso della eccessiva burocrazia e
delle leggi freni le nostre imprese, forse
in misura ancora maggiore delle tasse, è
stato ripetuto più di una volta da
autorevoli esponenti del governo e delle
istituzioni; infatti stando ad un recente
studio di Confartigianato la burocrazia
costa alle nostre imprese due punti
percentuali di PIL, ovvero 30 miliardi e 980
milioni di euro.
Altro fattore determinante è lentezza della
giustizia civile; nel nostro sistema
giuridico il tempo medio per emettere una
sentenza in tema di contenzioso contrattuale
è 1210 giorni, il triplo del tempo rispetto
agli altri paesi del nostro continente.
Anche la spinosa questione dei debiti della
pubblica amministrazione, che vengono pagati
alle imprese con tempi smisuratamente lunghi
per via della spending review, certamente
non ci avvantaggia con i nostri concorrenti
europei.
E’ vero che la spending review permette un controllo
delle spese e aiuta a centrare l’obiettivo
dell’equilibrio nella bilancia dei pagamenti, ma la
lentezza dei pagamenti si ripercuote fatalmente con
effetti disastrosi su tutto il sistema industriale e non
si limita quindi a penalizzare la singola impresa
colpita
Quanto sopra spaventa non poco le imprese
straniere che vorrebbero investire nel
nostro Paese; bisognerebbe invertire la
mentalità e considerare invece chi investe
nel nostro sistema produttivo come nostro
alleato, mentre lo Stato dovrebbe farsi
carico di rendere quell’investimento una
occasione per il Paese.
Possiamo quindi esimerci dal cercare di
cambiare questo trend disastroso?
Certamente no, ma per correre ai ripari
occorre assolutamente l’elaborazione di un
percorso che porti ad un ampio disegno
strategico individuante alcune grandi e
fondamentali opzioni per la crescita e su di
esse modellare da un lato le nuove
istituzioni e le politiche del mercato di
lavoro e dall’altro
rivedere
profondamente il nostro sistema
scolastico-formativo.
Un
disegno strategico quindi che parte
dall’alto, dalla testa dei problemi per
cercare poi, in una fase successiva, la
soluzione migliore in base alle priorità
scelte;
ritengo che solo in questa maniera
sia possibile affrontare le grandi sfide
occupazionali che ci attendono.
In
questo difficile percorso si devono adottare
tutte le strategie possibili, incentivando
momenti di dialogo e condivisione fra tutti
i soggetti interessati,
dalle
associazioni di categoria, ai partiti e ai
sindacati e utilizzando sofisticati
strumenti di analisi e previsione come
approfonditi studi di esperti,
collaborazioni con università e con
docenti universitari di chiara fama per
elaborare teorie economiche e sociali
innovative.
Uno
sforzo incessante dove tutti devono
accettare l’idea di poter perdere qualche
privilegio e qualche posizione dominate per
arrivare ad una soluzione condivisa e poter
così ricostruire, magari in modo più equo,
il nostro sistema economico e produttivo,
non dimenticando la realizzazione di un
efficace welfare
in grado di coprire adeguatamente le fasce
più deboli ed esposte.
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