11 GENNAIO 1946: SI SVOLGE ALL'UNIVERSITA' LA SAPIENZA DI ROMA IL XXV CONGRESSO DEL PSIUP (IL PARTITO SOCIALISTA USCITO DAL SECONDO CONFLITTO MONDIALE). SARAGAT, CHE PROPONE UNA LINEA POLITICA AUTONOMA DAL PCI, ESCE DAL PARTITO DANDO VITA AL PARTITO SOCIALISTA DEI LAVORATORI ITALIANI. L'USCITA DI SARAGAT E' NOTA COME SCISSIONE DI PALAZZO BARBERINI

Chi ha avuto l’opportunità di seguire mercoledì 9 dicembre il programma messo in onda da Rai Storia sulla scissione di Palazzo Barberini non avrà certamente perso del tempo inutilmente; in quella puntata sono stati analizzati i presupposti storici e politici della scissione socialista dell’11 gennaio 1947 dove  l’ala riformista del PSI guidata da Giuseppe Saragat si stacca dal partito in dissenso con la strategia di Pietro Nenni e del gruppo dirigente accusato di “frontismo” e “filo comunismo”.

I fatti sono noti, le motivazioni che diedero origine alla scissione furono di carattere sia politico che storico.

Nel primo caso l’origine furono i forti contrasti politici fra la linea del segretario Nenni, tesa a proseguire la collaborazione con il Partito Comunista Italiano, e la minoranza guidata da Saragat, il quale invece rivendicava al contrario l’autonomia dei socialisti da PCI; queste divergenze emersero chiaramente già dal congresso del PSI dell'aprile 1946 e questa accentuata divaricazione di idee e di strategie portò appunto la scissione del partito dell’11 gennaio 1947 al termine di una concitata riunione e la nascita di un nuovo soggetto politico, il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, che politicamente si poneva a destra del PSI e a sinistra della DC.

Al congresso Saragat aveva accusato Nenni di aver adottato “ metodi antidemocratici ” e “ totalitari ”; invano Sandro Pertini cercò di scongiurare la scissione e saranno 28 i deputati che abbandonarono il PSI per entrare nella nuova formazione.

Le motivazioni storiche sono connesse al ruolo dell’Unione Sovietica che ebbe nel riordino post-bellico scaturito dagli accordi di Yalta; nuove fratture prendono origine e forza sul terreno dei nuovi assetti internazionali che i vincitori della 2° guerra mondiale imporranno come visione globale, come modello di civiltà e come costruzione di società.

Da quel momento le due anime del Socialismo italiano, quella massimalista, di matrice rivoluzionaria, e l’ala riformista, d’ispirazione parlamentare, che avevano convissuto insieme per tutta la prima parte del Novecento, intrapresero strade diverse.

E il partito socialista di allora, il PSIUP sorto nell'agosto del '43 dalla fusione del PSI con il Movimento di Unità Proletaria, fu lacerato nel suo interno proprio da queste due scelte di fondo (filo-sovietismo di Nenni e filo occidentalismo di Saragat) che con sempre maggior vigore portavano a divisioni di pensiero e di strategia politica, fino a far diventare insanabili le divergenze politiche.

In una intervista televisiva alcuni giorni dopo la scissione Saragat ebbe a dire “ Il programma del nostro partito, che sarà elaborato da un regolare congresso, si propone di lottare per un ordine nuovo fondato sulla giustizia sociale e la libertà ” ed inoltre " i rapporti con il PCI gli ho definiti nel discorso di Palazzo Barberini che è stato pubblicato integralmente dal giornale del partito L’Umanità. In ogni caso noi non saremo mai anticomunisti, siamo e saremo sempre socialisti “.

Alle successive elezioni del 1948 i socialdemocratici italiani si presentarono come una forza politica collocata a sinistra, laica e riformista, aperta al contributo di altre forze del centrosinistra portatrici di analoghi valori raggiungendo un significativo 7% di consensi e contribuì in maniera sostanziale a controbilanciare l’avanzata del Fronte Popolare formato dal Pci e dai Socialisti di Nenni.

Disse il compagno Rino Formica, ministro socialista delle Finanze nel primo e secondo governo Spadolini, in occasione di una sua partecipazione ad un convegno a Bari alcuni anni orsono e avente per tema proprio la scissione di Palazzo Barberini “ L’apertura, dopo 50 anni, dei tanti archivi nazionali ed esteri, oggi, ci documentano ciò che intuivamo ma che, allora, non avevamo misurato a sufficienza. Negli anni del grande fervore ideale e nella fluidità della situazione internazionale, la politica interna italiana era fortemente condizionata dalle scelte di politica internazionale. La divisione in due (occidentali ed orientali) dell’Italia poteva provocare una dislocazione di tutto il movimento operaio nel capo del comunismo sovietico. Se ciò fosse diventato effettivo, sicuro sarebbe stato l’isolamento e la sconfitta storica della sinistra storica

Prosegue inoltre “ Dopo il Congresso di Firenze del ’46 e dopo le elezioni della Costituente quando il Psi risorse come prima forza della Sinistra italiana, sul socialismo italiano venne esercitata la più forte pressione perché scegliesse tra la malintesa solidarietà classista con l’Urss o la debole presenza nella ricostruzione capitalistica dell’Europa occidentale. Il Partito Socialista non era attrezzato ad una resistenza all’offensiva ideologica della Dc, sempre più collegata alla Chiesa e all’America e del Pci, fiero ed orgoglioso della forza dell’Unione Sovietica e del comunismo trionfante su un terzo del mondo

Parole che certamente avvalorano le tesi e le scelte di Saragat.

La scissione di Palazzo Barberini vista con i nostri occhi, occhi socialisti, può essere inteso come il traguardo di un percorso politico nato da lontano, dal congresso di Livorno, quasi un naturale evolversi nella storia del nostro partito e della sinistra italiana.

Ma fu un percorso politico nato, e ancora oggi condiviso da molti socialisti, per erigere una sorte di barriera ideologica contro il tentativo di fusione con il Partito Comunista e per impedire il trasferimento nel solo campo del comunismo internazionale delle ragioni storiche del movimento operaio italiano.

Scissione dunque si diceva, ma purtroppo anche male storico della sinistra italiana, da quella già citata di Livorno in cui nacque il Partito Comunista Italiano, alla svolta di Rimini nel '91 con la nascita di Rifondazione, senza tralasciare la nostra dolorosa diaspora.

Secondo noi socialisti la scissione di Palazzo Barberini rimane un momento importantissimo nella storia della sinistra italiana e come dice il sociologo e Segretario Generale CENSIS Giuseppe De RitaLa scissione di Palazzo Barberini resta probabilmente un punto di svolta della cultura e della politica italiana ma resta anche forse l’ultimo segno del coraggio di rompere. Quando parliamo della sinistra italiana parliamo sempre di una posizione politica prigioniera dell’estremismo. Si trattasse di socialisti o di comunisti degli anni 20 o degli anni 40 o si tratti di altri nomi oggi. Staccarsi da quella durezza, da quella violenza dell’estremismo, per andare verso il centro, verso un partito socialista ma al tempo stesso democratico, capace di ragionare, diventava un tradimento, sembrava un social fascismo, una dipendenza dai padroni “.

E’ altrettanto vero però che il tentativo di Saragat non ebbe quel successo elettorale e culturale che i promotori speravano, ma probabilmente diede la sensazione che, una volta tanto, un processo culturale e politico maturato all’interno della nostra società potesse rompere con le due ideologie dominanti, cercando una alternativa di centro sinistra, un socialismo moderato e progressista.

E in una sinistra italiana vittima ancora oggi da forti contrasti ideologici, propulsioni all’estremismo e al scissionismo fine a se stesso e senza prospettive, una riflessione storica sul nostro passato forse sarebbe utile che si facesse.

Nenni e Saragat in foto di repertorio

Potrebbe interessarti:

Video - Rai Storia, La scissione di Palazzo Barberini  

                 Condividi con    

Cerca nel sito

La nostra storia
            Videointerviste a socialisti veronesi
   
 

 
Social