Quel saggio su Proudhon con cui Bettino Craxi segnò la storia della sinistra in Italia
La storia del socialismo non è la storia di un fenomeno omogeneo.
Nel corso di travagliate vicende sotto le insegne del socialismo si sono raccolti e confusi elementi distinti e persino reciprocamente repulsivi.
Statalismo e antistatalismo, collettivismo e individualismo, autoritarismo e anarchismo, queste e altre tendenze ancora si sono incontrate e scontrate nel movimento operaio sin da quando esso cominciò a muovere i suoi primi passi come unità politica e di classe. In certe circostanze storiche le impostazioni ideologiche diverse sono addirittura sfociate in una vera e propria guerra fratricida.
È così avvenuto che tutti i partiti, le correnti e le scuole che si sono richiamate al socialismo, si sono poste in antagonismo al capitalismo, ma ciò non è quasi mai stato sufficiente ad eliminare divisioni e contrapposizioni.
I modelli di società che indicavano come alternativa alla società capitalistica erano spesso antitetici.
E per comprendere maggiormente il travagliato momento storico della sinistra italiana nella seconda metà del secolo scorso, è interessante leggere qui di seguito l'articolo a firma di Marco Damiano e pubblicato lo scorso 28 agosto sull'Espresso e intitolato "Quel saggio su Proudhon con cui Bettino Craxi segnò la storia della sinistra in Italia" in cui viene riproposto il percorso politico e culturale che ha portato il segretario socialista a pubblicare nell’agosto del 1978, sempre sull'Espresso, quello che lui definiva il "vangelo" del suo socialismo; uno spartiacque per la sinistra di ieri.
" Il Vangelo socialista, lo titolò il direttore dell’Espresso Livio Zanetti, con malizia, perché dopo tanto girovagare il popolo socialista aveva finalmente trovato il suo messia: una buona novella, soprattutto per lui, l’autore del testo, il segretario del Psi Bettino Craxi.
«Un baedeker ideologico e un argomento di discussione», si leggeva nel sommario, «il segnale d’avvio di un’offensiva destinata a tenere alta la temperatura tra il Pci e il Psi per molte settimane», precisava nell’introduzione Paolo Mieli, giornalista del settimanale di via Po, come ci chiamavano all’epoca sugli altri giornali, ma alla fine il saggio firmato da Craxi si rivelò molto di più.
«Un colpo di fucile, o piuttosto di cannone», lo ha definito Ernesto Galli della Loggia, la rottura con il comunismo di matrice leninista ma anche gramsciana.
Il taglio della barba del profeta Karl Marx, scrisse a botta calda Eugenio Scalfari su “Repubblica”: «L’articolo sull’Espresso segna una data storica nella vita del Partito socialista italiano».
Uscì il 27 agosto 1978, quarant’anni fa, alla fine di un mese in cui era morto un papa (Paolo VI), era stato appena eletto un altro (il patriarca di Venezia Albino Luciani con il nome Giovanni Paolo I, morirà 33 giorni dopo), Mina aveva tenuto il suo ultimo concerto pubblico al Bussoladomani di Viareggio e la politica si apprestava a riprendere il suo cammino dopo i giorni del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro, le dimissioni del presidente della Repubblica Giovanni Leone, i referendum per abrogare la legge Reale sull’ordine e la sicurezza e soprattutto il finanziamento pubblico dei partiti, che aveva raccolto il 46 per cento dei sì nonostante la contrarietà di tutte le forze politiche tranne i radicali, ben più di un campanello d’allarme per il sistema politico.
Vacillava il governo di solidarietà nazionale, il monocolore dc di Giulio Andreotti con il Pci in maggioranza, il Psi si era smarcato con due mosse clamorose, la rottura del fronte della fermezza con le Brigate rosse nel caso Moro e l’elezione di Sandro Pertini alla presidenza della Repubblica, il primo socialista al Quirinale.
Ma il giovane segretario del Psi Craxi, 44 anni in quel momento, aspettava di fare un passo in più. La definizione di una nuova carta di identità: dire chi si è, prima ancora di cosa si vuole fare.
Un manifesto ideologico, come nell’Ottocento. Curioso che a intestarsi la battaglia delle idee fosse un leader pragmatico, per nulla attratto dalle fumisterie teoriche, considerato spregiudicato e privo di scrupoli: Bettino l’Amerikano, il tedesco del Psi, come lo appellavano gli avversari.
Se ne sorprese il vecchio Pietro Nenni che il 5 settembre annotava sul suo diario: «Continua la polemica aperta da Bettino sul marxismo e sul leninismo. Il partito cerca in essa una qualificazione che però potrà venire solo dai fatti».
Più stupiti di tutti i comunisti, l’oggetto polemico del saggio craxiano. «Non si esita a dare versioni incredibilmente semplificate e unilaterali dell’esperienza storica del movimento operaio, a presentare un’immagine quanto mai riduttiva e sommaria di una personalità come quella di Lenin (e ancor di più di quella di Gramsci), e a tacere dell’elaborazione originale dei comunisti italiani», si lamentò Giorgio Napolitano sull’Unità.
In linea con il giudizio dello storico Paolo Spriano: «Toni e espedienti idonei all’addestramento dei commandos delle teste di cuoio ma non al dibattito culturale».
Ancora più brutale il vicecapogruppo del Pci alla Camera Fernando Di Giulio: «Perché Craxi ha scelto Proudhon, questo strano modesto pensatore francese? Secondo alcuni, perché ricorda una marca di champagne».
Eppure era stato Enrico Berlinguer ad aprire lo scontro ideologico. Con una lunga intervista a Scalfari su Repubblica, il 2 agosto, in cui il segretario del Pci aveva rivendicato «la complessa eredità» del leninismo, affermando che «il Pci è nato sull’onda della rivoluzione proletaria dei soviet, e su impulso di Lenin»: «siamo continuatori, ma anche critici e interpreti» di quel «patrimonio ricchissimo e complesso».
E aveva concluso: «La verità è che ci si vorrebbe sentir dire: ci siamo sbagliati a nascere, evviva la socialdemocrazia, unica forma di progresso politico e sociale. Allora i nostri esaminatori si direbbero soddisfatti: “la risposta è esatta, sciogliete il partito e tornatevene a casa”».
Tra gli esaminatori, Berlinguer indicava il Psi di Craxi: «C’è una neo-vocazione a farci l’esame da parte dell’attuale gruppo dirigente socialista. È un fatto nuovo e preoccupante».
Il direttore dell’Espresso Zanetti chiese una reazione a Craxi, il segretario socialista fece sapere che voleva pensarci, poi si ricordò di aver commissionato al giovane sociologo Luciano Pellicani un saggio su leninismo e socialismo per un volume dell’Internazionale socialista in onore di Willy Brandt.
Quindici cartelle, le rimaneggiò personalmente prima di partire per le vacanze ad Hammamet e le spedì all’Espresso.
«Avevo citato molti autori, ma Proudhon fece più effetto», ammise in seguito Pellicani. Pierre-Joseph Proudhon, vissuto tra il 1809 e il 1865, promotore di un socialismo anti-scientifico, liberale, anarchico, mutualista, contrario alla violenza ...
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Mario Molinari, SlowNews - Socialismo: Il cosiddetto saggio su Proudhon |