E’ di questi giorni la notizia della
conferma che i poveri resti trovati il 7
settembre 2009 presso le foibe di Rocca
Busambra, nei pressi di Corleone,
appartengono al sindacalista socialista
Placido Rizzotto, rapito e ucciso dalla
mafia la sera del 10 marzo ’48 per il suo
impegno a favore del movimento contadino per
l’occupazione delle terre lasciate incolte
da latifondisti e per aver sempre lottato
contro la mafia.
L’esame del DNA estratto da una tibia dello
scheletro, comparato con quello del padre
Carmelo Rizzotto, morto da tempo e riesumato
per questo scopo, lascia pochi dubbi e
conferma le ipotesi investigative
dell’allora capitano dei carabinieri Carlo
Alberto Della Chiesa che, in base agli
elementi raccolti, fece arrestare due
mafiosi, Vincenzo Collura e Pasquale
Criscione, i quali ammisero di aver fatto
parte del commando autore del rapimento in
concorso con Luciano Liggio.
Per questo delitto però sia Criscione che
Collura che lo stesso Liggio, rimasto
latitate fino al 1964, furono prosciolti in
sede processuale per insufficienza di prove,
dopo la ritrattazione delle loro confessioni.
Vale la pena ricordare chi fu questo
socialista vero, fiero dei suoi ideali,
indomito e coraggioso fino alle estreme
conseguenza, insomma
una persona tutta d’un pezzo, un eroe
di quelli che oggi è quasi impossibile
trovare.
Placido Rizzotto durante
la seconda Guerra Mondiale
era militare in
Friuli e dopo l '8 settembre dei 1943 scelse
di unirsi ai partigiani;
tornò in Sicilia, a
Corleone, alla liberazione dal nazifascismo.
L'esperienza nelle file
delle resistenza fece maturare in Placido
Rizzotto una profonda coscienza civile e
politica, tanto che non riuscì più accettare
la realtà di Corleone,
dove pochi proprietari terrieri
violenti e sopraffattori difendevano i loro
privilegi con la mafia, mentre una
moltitudine di contadini viveva in estrema
miseria e povertà.
Questo suo forte rigore
sociale lo portò a diventare sindacalista e
segretario della Camera del Lavoro di
Corleone e in tale veste cercò di
organizzare i contadini spingendoli ad
occupare le terre tenute incolte dai
latifondisti e dalla mafia per poi
distribuirle alle famiglie più bisognose.
Organizzò scioperi e
rivolte, si batté per l’applicazione dei
cosiddetti “Decreti Gullo” ovvero l’obbligo
dell’assegnazione in affitto alle
cooperative contadine delle terre incolte,
cercò di cambiare la mentalità della maggior
parte della popolazione ormai rassegnata
alla violenza e al terrore.
Ma sfidando i proprietari
e i boss locali, tra i quali Luciano Liggio
e un giovane Salvatore Riina, entrò nel
mirino delle loro lupare; ricordiamo che in
quel periodo la mafia cominciò a seminare il
terrore con la strage di Portella delle
Ginestre e che sistematicamente tutti i capi
sindacali che osarono mettersi contro furono
uccisi.
Nonostante Rizzotto fosse
perfettamente a conoscenza dei pericoli che
correva, continuò nella sua opera in favore
degli oppressi e dei più poveri; a nulla
valsero gli avvertimenti dei suoi
fedelissimi e della sua famiglia, andando
verso una sorte già scritta e annunciata.
La sera del 10 marzo
venne sequestrato, ucciso e il su corpo
gettato nella profonda cavità carsica dove
fu ritrovato molti anni dopo.
La morte di Rizzotto si
inquadra in un preciso momento storico della
nostra repubblica nata dalle ceneri della
seconda guerra mondiale e nello specifico
nelle lotte sociali e politiche in Sicilia
contro la mafia e i grandi proprietari
terrieri latifondisti prima delle elezioni
politiche del ‘48.
La realtà di quel periodo
violento si intreccia con la vita di tante
persone che hanno scritto, con la loro morte,
la storia della Sicilia nel dopoguerra;
stiamo parlando per esempio di Pio La Torre,
che ancora giovanissimo sostituisce Rizzotto
alla guida dei contadini corleonesi e che
subirà la stessa sorte, del capolega
Epifanio Lipuma ucciso sui monti delle
Madonie, di Calogero Cangelosi ucciso a
Camporeale.
Questi sono solo alcuni
nomi eccellenti di una lunga serie di
omicidi attuati dalla mafia nell’immediato
dopoguerra ai danni di sindacalisti, di
semplici contadini e lavoratori, solo per
aver avuto il coraggio di ribellarsi alle
ingiustizie e alle sopraffazioni.
Cosa ci insegna questa
tragica storia e quale messaggio trarne?
In primo luogo ci insegna
che la storia è fatta soprattutto da persone
normali che con il loro impegno e la loro
perseveranza riescono a smuovere e
modificare le coscienze degli individui.
Persone che hanno il
coraggio di portare avanti le loro idee fino
alle estreme conseguenze, persone
integerrime, uomini che non chinano mai il
capo e che non possono accettare ingiustizie
e soprusi.
Eroi se proprio vogliamo
chiamarli così, persone normali diventate
eroi per il loro sacrificio,
eroi come lo furono moltissimi altri
uomini morti per i loro ideali e per aver
sostenuto fino in fondo le loro idee.
Riteniamo quindi
importante, oltre che doverosa, l’iniziativa
del nostro segretario Nencini che dedicherà
a Rizzotto una cerimonia pubblica nella
ricorrenza dei 120 anni del Partito
Socialista, perché mai come ora, momento di
profonda crisi sociale e politica, è
necessario recuperare la memoria e il
rispetto nei confronti di chi ha dato la
propria vita per l’ideale in cui credevano .
“Restituiamo
a Placido
Rizzotto la dignità che la mafia gli ha
strappato sessantaquattro anni fa. Lo Stato
ha il dovere di tributare al sindacalista
socialista gli onori che si devono a chi
dedica la propria vita ai valori della
libertà e della giustizia e alla difesa dei
più deboli” dice Nencini nel commentare la
notizia dell’identificazione dei resti del
sindacalista socialista.
Ricordiamo inoltre che la vita di Rizzotto
è stata raccontata nel film “Placido
Rizzotto” di Pasquale Scimeca uscito
nel
2000,
anche se nel film non viene fatto nessun
riferimento alla militanza socialista del
sindacalista e, recentemente, anche una
fiction TV “Il capo dei capi”.
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integrale di Nencini