IL REFERENDUM SULLE TRIVELLAZIONI DEL 17 APRILE E' STATO CARATTERIZZATO ANCHE DA UN FORTE CONDIZIONAMENTO POLITICO PER UTILIZZARLO CONTRO IL GOVERNO. IL MANCATO RIAGGIUNGIMENTO DEL QUORUM RAPPRESENTA UNA SCONFITTA PER LE FORZE POLITICHE DI OPPOSIZIONE

Il quorum nel referendum del 17 aprile non è stato raggiunto determinando la sconfitta dei promotori, con il numero dei votanti pari al 32% e con i SI all’80% e i NO al 20%.

Quando, dopo le 23.00, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi si presenta davanti alle telecamere a Palazzo Chigi per tenere il discorso ai cittadini, mostrandosi ovviamente felice per la vittoria, dice  Il governo non si annovera nella categoria dei vincitori ma crede che i vincitori siano gli operai e gli ingegneri che domani torneranno alle loro piattaforme sapendo di aver conservato il posto di lavoro. È per loro che ho invitato all’astensione. Levo il calice con quelle oltre diecimila persone che hanno conservato il posto di lavoro ”.

Il premier rivendica quindi una vittoria netta e critica pesantemente la “ demagogia ” di chi “ ha voluto cavalcare il referendum per esigenze personali ”, rivolto evidentemente non solo ai suoi avversari politici ma anche ad alcuni Presidenti di regione come Michele Emiliano e prosegue “ I grandi esperti hanno teorizzato spallate, hanno ipotizzato crolli. Una parte della classe dirigente di questo Paese si dimostra autoreferenziale. Vivono su Twitter, su Facebook ”.

Evidentemente Renzi sente di aver vinto una importante battaglia: il partito della spallata ha perso, lo dicono i numeri senza margine di dubbio. Il quorum non è stato raggiunto, attestandosi intorno 32 per cento e il premier proietta questa vittoria nell’ambito di quella corsa che terminerà col referendum di ottobre, passando per il voto delle amministrative a giugno.

E’ contento e lo dimostra nel suo intervento alla TV, vuole trasmettere un messaggio chiaro: chi aveva fatto di questo referendum una battaglia per logorarlo ha perso e il dato odierno lo mette in una posizione di forza in vista, soprattutto, della madre di tutte le battaglie, il referendum di ottobre.

Anche il nostro segretario Nencini su questo punto dichiara “ La sconfitta non è dei cittadini che sono andati a votare ma di quel fronte degli opposti che aveva impresso un forte segno politico al referendum e voleva utilizzarlo come un grimaldello contro il governo. Se ci fosse anche solo un po’ di coerenza in chi predicava le dimissioni del governo in caso di sconfitta, ora dovrebbe trarne tutte le conseguenze ”.

Ma l’interpretazione del voto, che ovviamente è letto in maniera opposta dai due fronti, non è così semplice come a prima vista potrebbe apparire e dentro il responso delle urne c’è un dato più complesso da leggere.

Se teniamo validi i dati delle comparazioni, con la sola eccezione del referendum sull’acqua del 2011, quello sulle trivelle, col 32 per cento dei votanti, è stato tra i più partecipati degli ultimi anni, rispetto a quello del 2005 sulla fecondazione (quando il cardinal Ruini invitò alla astensione) e al referendum del 2003 sull’estensione dell’articolo 18 (quando all’astensione invitarono i Ds).

Rilevante, anche, dall’analisi dei risultati che la più alta percentuale di votanti (e di sì) si è registrata nelle regioni toccate dal problema trivelle, con la Basilicata di Roberto Speranza unica regione che raggiunge il quorum col 50,4 (19 punti più della media nazionale) e la Puglia di Michele Emiliano dove i votanti arrivano a quota 42. Proprio a Potenza, città di Speranza, ma anche città da dove parte l’inchiesta Tempa Rossa si raggiunge il record della vittoria dei sì col 58 per cento.

Inoltre i dati rivelano una doppia lettura: la prima chiama in causa gli oppositori di Renzi che , nell’intento di logorare il premier, hanno politicizzato ogni aspetto del referendum, l’altra chiama in causa lo stesso premier in quanto, aspetto certamente non banale, il 32 per cento di votanti corrisponde a 14 milioni di voti, di cui l’80 per cento sono sì.

Milioni di voti che possono rappresentare una “massa critica” di opposizione a Renzi, che il premier si troverà di fronte a ottobre in occasione del referendum costituzionale, quando non ci sarà il quorum, ma sicuramente una forte mobilitazione di tutti i partiti di opposizione che stavolta non c’è stata.

Nella nostra regione i socialisti si sono espressi per il SI al quesito referendario, assumendo una posizione non conforme a quanto indicato dalla segreteria nazionale del partito.

La ragione di questa posizione non sta certamente solo in una maggiore sensibilità ambientale dei socialisti veneti ma, e soprattutto, nella consapevolezza dei danni idrogeologici che possono essere provocati dal pericoloso fenomeno della subsidenza, ovvero l’abbassamento del terreno per effetto del prelievo di idrocarburi nella pianura padana, in particolare nell’area che comprende Ferrara, Rovigo per giungere fino alla laguna veneziana.

E il voto referendario nel Veneto dà ragione a questa lettura; un 37,86 per cento di votanti, certamente molto lontano da regioni come la Basilicata o la Puglia, rappresenta sicuramente un fatto positivo, ma quanti di questi voti sono strettamente legati al quesito referendario o alla speranza di mettere in difficoltà il governo sarà tema del prossimo dibattito politico in seno sia al nostro partito come negli altri.

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