Psi: Sì al documento “europeista” e Congresso straordinario il 29 marzo
Si è svolto la scorsa settimana a Roma il Consiglio Nazionale del Psi, con all’ordine del giorno l’approvazione del documento già ratificato dalla Segreteria nazionale lo scorso 3 ottobre e la convocazione del congresso nazionale straordinario.
Due i temi affrontati dai membri del Consiglio Nazionale: l’appuntamento elettorale europeo della prossima primavera e il Congresso straordinario del PSI.
Il Consiglio ha approvato il documento politico “MANIFESTO PER L’EUROPA. NON C’È UN MOMENTO DA PERDERE” e ha stabilito che il Congresso straordinario nazionale del partito si svolgerà il 29, 30 e 31 Marzo, ovvero prima delle elezioni europee come precedentemente deciso dalla Segreteria Nazionale del partito.
In vista del prossimo appuntamento elettorale europeo il segretario Nencini ha auspicato “la più ampia unità possibile” ed inoltre “fin dal prossimo congresso si torni a lavorare a un progetto comune per la costituzione di una coalizione europeista aperta per offrire agli italiani una alternativa all’internazionale nera promossa da Salvini e al fronte anti europeista di cui i 5 stelle fanno parte”.
Il nostro segretario, nell'ottica della preparazione del percorso congressuale, pubblica sull’Avanti! On line dello scorso 19 novembre l’editoriale dal titolo “Chi siamo” e che di seguito riportiamo.
“ Il congresso è stato dunque convocato, il sesto in dieci anni. Abbiamo il tempo necessario per organizzarlo come si deve: precisare la linea politica, farla valutare dalle assemblee provinciali e dai congressi regionali. Intanto c’è una base di partenza: il documento approvato con voto unanime dal Consiglio Nazionale. Apertura all’intero mondo socialista, formazione di una coalizione europeista a cominciare dalla Rosa nel Pugno. È già qualcosa di fronte a una crisi della sinistra italiana che non ha uguali nella storia della repubblica.
Dieci anni fa il sistema politico italiano si fondava sullo schema classico destra-sinistra: il Popolo delle Libertà guidato da Berlusconi, una sinistra egemonizzata dal Pd di Veltroni nato proprio con l’obiettivo di contrastare quella coalizione. Di quella storia non è rimasto proprio nulla. Nulla sul piano politico, ben poco sul fronte sociale. La fotografia della sinistra, oggi, non è migliore: sciolti Civica Popolare e Leu, in via di ridefinizione Più Europa, il Pd a congresso oscillante tra il ritorno al passato (Ds?) e una forma politica più aperta. Continuo a pensare che il nodo da sciogliere sia quale strategia deve darsi la sinistra riformista per affrontare un tempo nuovo. Schema e proposte novecentesche sono inadeguate. Lo dirò al congresso del PSE a Lisbona, tra poche settimane.
Dieci anni fa il PSI si dibatteva in una situazione di emergenza che avrebbe potuto decretarne la fine. Ricordo chi eravamo: la Costituente Socialista raggiunse i 60.000 iscritti ma al congresso di Montecatini (2008) non eravamo più di 10.000; il bilancio di cassa consentiva autonomia per soli cinque mesi; non eleggemmo alle Politiche nessun parlamentare (0,9%), per la prima volta da oltre un secolo; morta la Costituente Socialista ed usciti dal partito i 4/5 dei dirigenti che la rappresentavano, non avevamo una linea politica; l’Avanti e Mondoperaio erano in tilt. Restava una presenza nei comuni – poco diffusa al nord e rara nelle città capoluogo di regione – e in diversi consigli regionali. La drammatica caduta iniziata nel 1992/93 poteva portarci alla scomparsa. Il gruppo dirigente eletto a Montecatini ha salvato una storia e una comunità. Non è stato facile. Lo sa bene chi ha tenuto alta la bandiera nelle province.
Errori? Si, ce ne sono stati. Un eccesso di unanimismo che spesso, all’indomani delle elezioni politiche, si è trasformato in divisioni figlie, più che del dissenso, della mancata soddisfazione di legittime ambizioni. Le polemiche generate ci hanno indebolito, senza dubbio. Troppe lotte fratricide nelle regioni, poi, e sempre al tempo del voto regionale. Le difficoltà a dare concretezza sul territorio a iniziative mirate: primarie delle idee e raccolta delle firme su cinque nostre proposte di legge popolare tra il 2008 e il 2010, voto ai sedicenni nei comuni, gioco d’azzardo, pensioni, migranti e altro negli anni successivi. La prova di una comunità che stenta a mobilitarsi, anche per ragioni di età.
C’è chi ritiene sia stato un errore non presentare il nostro simbolo nel 2013. Può darsi.
La verità è che il Pd di Bersani ci negò l’apparentamento (fu dato a Tabacci per formare una coalizione di centro-sinistra). Avremmo dovuto fare di più – avrei dovuto fare di più – sul fronte di un riformismo più radicale, questo si. Si sono invece rivelate chiacchiere senza fondamento le opinioni di chi sosteneva che avrei portato i socialisti nel Pd. La lista ‘Insieme’ è nata proprio per evitare quell’abbraccio e il mantenimento di un’organizzazione autonoma, seppur senza finanziamento pubblico, ha preservato la nostra autonomia.
Resta il fatto che siamo in piedi, unico partito addirittura dell’Ottocento, e che al congresso andremo per aprire un nuovo ciclo. Con le carte in regola: tesseramento iniziato, Mondoperaio, Fondazione Socialismo e Avanti messi al sicuro, bilancio approvato, una linea politica in costruzione, un centinaio di sindaci, alcune centinaia di amministratori locali, un pugno di eletti nelle regioni. Non è poco. Nondimeno è alla politica che bisogna guardare e a tenere unita la comunità socialista.
Eppure, nel dibattito interno leggo solo marginalmente il profilarsi del pericolo di una destra radicale che punta a sostituire la società aperta nata con la costituzione con una società fondata sul nazionalismo etnico. Quello è il fronte su cui dobbiamo impegnarci fino dalle prossime elezioni amministrative ed Europee. Meglio non da soli.
Sarà indispensabile coinvolgere sindaci civici, movimenti ed associazioni democratiche e laiche, come stiamo facendo, per fronteggiare un vento che si abbatterà su decine e decine di comuni al voto. Sarà un lungo deserto – il ‘diciannovismo’ non si spazza via con un colpo di spugna – che solo una sinistra profondamente rifondata potrà attraversare. Noi faremo la nostra parte. C’è una condizione, però: uscire dalle diatribe senza politica, dal rancore che la rete alimenta, e dal ‘chi eravamo’. Se si hanno idee, si torni nel partito e le si facciano valere.
Riccardo Nencini