Simona Colarizi "Il laboratorio dell'innovazione"
A partire dalla prima metà degli anni ’70 cominciarono a manifestarsi i primi sintomi di una crisi del sistema politico italiano, che si approfondì durante il corso del decennio successivo fino a determinare il crollo della prima Repubblica nel 1992-1994.
La difficoltà di rappresentare il proprio elettorato e il progressivo allargarsi della forbice società civile-politica costrinsero i partiti ad interrogarsi sulla propria identità e a tentare nuove strade per rinnovarsi al loro interno.
Il pessimo risultato elettorale del ‘72 con il PSI sceso al 9,6%, la più bassa percentuale registrata dal 1946, obbligò la leadership del partito ad avviare una radicale e profonda opera di rifondazione ma, nonostante le tante aspettative di ripresa, gli scarsi risultati ottenuti anche nelle elezioni del 1976 confermarono una crisi ancora dura da superare.
E’un calo che riguardò soprattutto l’area dei partiti di centro, i primi a subire i contraccolpi di quel profondo mutamento della società italiana, e destinato a mettere in crisi l’intera partitocrazia, troppo lenta ad interpretare le nuove realtà e riconvertirle nelle proprie strutture organizzative.
Però sotto questo profilo il PSI manifestò una più tempestiva capacità di analisi rispetto gli altri partiti e che influenzò la ricerca di un modello di partito profondamente rinnovato rispetto al passato.
Infatti la consapevolezza di quanto fosse grave la crisi del PSI l’ascesa ai vertici di una nuova generazione di dirigenti che, per età e formazione politica, si rivelavano maggiormente in sintonia con quel tessuto sociale di recente formazione, innescò nel 1976 una svolta in grado di ricavare per i socialisti uno spazio di rappresentanza più largo.
Ma la crescita del PCI, passato dal 22.5% del 1958 a 34,4% del 1976, suona come campanello d’allarme nel PSI, in quanto i 25 punti percentuali in più rappresentavano un fossato apparentemente incolmabile e che sembrava approfondirsi di fronte alla straordinaria crescita dei comunisti, ormai in grado di attirare nelle loro liste elettorali i voti del ceto medio progressista, invadendo così anche quel terreno da sempre considerato riserva di caccia dei socialisti.
Nel 1976 i vertici del partito erano ben consapevoli che la dimensione del PSI fosse quella di un «partito medio», tanto che Norberto Bobbio disse " essendo un partito necessario ma non sufficiente si viene a trovare, in qualsiasi condizione, in una posizione subordinata a quella del partito dominante ", quasi un invito alla rassegnazione.
Craxi, sei anni dopo, contestò però le tesi del filosofo e polemizzò con lo stesso, che a quella data si era già allontanato dal PSI, dicendo " L’idea che il Partito socialista debba essere condannato a scegliersi uno spazio comunque subalterno è quanto di più ostico possa risuonare alle nostre orecchie ed è contro ipotesi siffatte che noi dirigiamo tutti i nostri sforzi ".
Questa frase del segretario sintetizza efficacemente i termini della sfida lanciata dal gruppo dirigente salito al potere nel 1976, che si compatta sulla comune volontà di ribaltare gli equilibri esistenti tra le forze politiche, rivendicando al PSI uno spazio di crescita autonomo e indipendente a destra, ma soprattutto a sinistra, dove la concorrenza del PCI in trenta anni ha più che dimezzato i consensi dei socialisti.
E per quanto potesse apparire velleitario l’obiettivo e arrogante l’ostentazione di sicurezza dei nuovi leader, il partito ricevette una scossa rivitalizzante; sembrava quasi impossibile che il PSI fosse in grado di competere nel fronte della sinistra con il gigante comunista, per di più all’apice di un successo elettorale così grande da prefigurare un probabile sorpasso della DC, in tempi più o meno brevi.
E’ da queste premesse che nasce il PSI riformatore e progressista degli anni ’80, capace di modificare profondamente il tessuto sociale e culturale del nostro Paese con leggi e provvedimenti quali la legge 20 maggio 1970, n. 300, meglio conosciuta come statuto dei lavoratori, la legge 22 maggio 1978, n.194, che ha disciplinato le modalità di accesso all'aborto e la 1 dicembre 1970, n. 898, finalizzata a far cessare gli effetti civili del matrimonio, meglio conosciuta come legge sul divorzio.
Questo è il quadro politico-storico analizzato dalla giornalista Simona Colarizi, biografa di Riccardo Lombardi, nel suo articolo “Il laboratorio dell’innovazione” e pubblicato sull’ultimo numero di dicembre della rivista “Mondoperaio”, a 70 anni dal primo articolo di Pietro Nenni.