Intervista a Roberto Buttura
Il quotidiano "La Cronaca di Verona" dello scorso 20 maggio ha pubblicato una intervista a Roberto Buttura dal titolo particolarmente significativo "Il socialista dei diritti civili".
La prima parte dell'intervista verte sui diritti civili, in particolare sull'assistenza medica necessaria per il cambio di sesso, legge scritta da Buttura quando era assessore regionale alla Sanità e votata all'unanimità dalla giunta regionale di centrosinistra, continuando poi sul problema delle lunghissime liste di attesa per le prestazioni sanitarie, tema molto sentito dalla popolazione, prosegue sulla necessità di una migliore gestione politica della sanità pubblica per evitare il pericolo di una sua privatizzazione, concludendo infine con alcune riflessioni politiche sulla giunta del comune di Verona.
Di seguito il testo dell'Intervista:
"La legge sul cambio di sesso? “L’ho fatta io, ma ora Zaia si spaccia per moderno".
Il Presidente Zaia adesso si spaccia per moderno perché ha individuato nel policlinico di Padova il centro per il cambio di sesso, ma la legge l’ho fatta io, quando ero assessore regionale alla Sanità: votata all’unanimità dalla giunta Dc-Psi- Pds-Verdi, guidata dal democristiano Giuseppe Pupillo”.
Roberto Buttura, classe 1947, socialista, dal 1990 al 2000 è stato consigliere regionale del Veneto e, in quest’ambito, dal ‘92 al ‘94 assessore regionale alla Sanità. É stato anche vicepresidente dell’Ulss 25 dal 1986 al ‘90 e presidente di Agec nel biennio 1986-1987.
Vuol dire che uno dei diritti di genere aveva trovato risposta già nella prima Repubblica?
Certo. Era venuto da me Emilio Vesce, radicale, dicendomi che era stato avvicinato da alcune persone che gli avevano posto il problema. Loro sopportavano un disagio enorme: allora, se volevi cambiare sesso, dovevi andare a Casablanca. Così ne ho parlato con il dirigente alla Sanità della Regione, che tra l’altro era un democristiano, e nel giugno del ‘93 abbiamo scritto la legge: quattro articoli in tutto, che inserivano l’assistenza medico chirurgica necessaria per il cambio di sesso nel servizio sanitario regionale.
Rispetto a quando era assessore lei, le liste d’attesa oggi hanno tempi inaccettabili.
Sulle liste d’attesa parlano solo i tecnici, la politica è muta. E nessuno affronta il vero nodo delle liste d’attesa, che è la libera professione intramoenia. L’Italia è l’unico Paese nel quale è possibile esercitare la libera professione, all’interno della struttura sanitaria pubblica per la quale si lavora come dipendenti. Come se un ingegnere della Fiat potesse aprirsi lo studio privato all’interno della fabbrica, usandone le attrezzature! É assolutamente scandaloso.
Quindi, a suo avviso, i mali odierni della sanità pubblica hanno origine dal decreto Bindi del 1999.
Certo, e nessuno ci mette mano. L’avevo anche detto a Rosy Bindi che sarebbe andata a finire così. Abbiamo fatto fior di convegni, prima del decreto, per dimostrare che il provvedimento avrebbe causato seri problemi al sistema sanitario pubblico. L’elemento unificante di tutte le emergenze odierne. dalla mancanza dei medici di famiglia alla fuga dei medici dagli ospedali, è il malessere profondo dell’intera categoria del personale sanitario, nella quale molte volte gli interessi confliggono. Tanto per fare un esempio: l’interesse del medico internista o del chirurgo non è uguale a quello del radiologo o dell’anestesista, perché i primi possono avere la loro “clientela”, ma gli altri no. Permettere l’esercizio della libera professione intramoenia è stato un grandissimo errore.
Come mai prima del decreto Bindi le liste d’attesa avevano tempi ragionevoli?
Perché la Regione Veneto aveva inventato e attuato alcuni istituti importanti e positivi. Prima di tutto, il personale medico percepiva un’indennità economica per le ore in più dedicate alle prestazioni, in termini di visite e di esami, svolte all’interno del servizio pubblico. Poi c’erano incentivi economici per favorire l’equità retributiva delle professioni mediche, in modo da non creare disparità fra medici di specialità diverse. Erano questi provvedimenti, che limitavano i tempi delle liste di attesa.
Oggi c’è un malessere diffuso nella classe medica e chi può lascia il pubblico per il privato
E infatti esiste anche un problema etico. La risorsa più importante della sanità è il personale, che dal punto di vista delle competenze è quello che presenta il maggior numero di professionalità diverse. La grande difficoltà di amministrare bene la sanità pubblica è questa: dare risposte adeguate a un grande numero di persone e di problemi, senza creare spaccature fra le diverse categorie, ma facendo sentire tutti parte di un servizio fondamentale per la collettività. E riconoscendo nel giusto modo una retribuzione adeguata al ruolo. Purtroppo oggi non è più così.
Infatti, ci sono persino i medici a gettone...
Oggi vengono esternalizzati servizi completi, anche di radiologia o addirittura di pronto soccorso. Per cui certe categorie mediche, come gli anestesisti, hanno la convenienza a non essere dipendenti, ma a essere liberi professionisti pagati a gettone. Guadagnano di più del personale interno. Se poi pensiamo che le assicurazioni e le finanziarie si stanno orientando ad investire in salute, vuol dire che andiamo verso il progressivo abbandono della sanità pubblica a favore di quella privata. Come negli Stati Uniti, dove vieni curato solo se hai la possibilità di pagare un’assicurazione.
Secondo lei era meglio quando era la politica a presidiare la sanità?
Non c’è dubbio. Che le Ulss o le aziende ospedaliere non abbiano un consiglio di amministrazione, con potere di indirizzo e di controllo al di sopra dei tecnici, è una cosa che non sta né in cielo né in terra. In materia di sanità pubblica, la politica fa le leggi ma non le governa, è incredibile! Nel Veneto, che ha 5 milioni di abitanti, si occupano di sanità a livello politico un assessore e dieci membri della quinta commissione del consiglio regionale. Ma in una realtà complessa, dove servizi sanitari e servizi sociali si compenetrano sempre di più e cambiano continuamente gli obiettivi, come si fa a demandare tutto ai tecnici, che hanno una visione settoriale e non hanno rapporti con il territorio?.
Passiamo alla politica. Giunta Tommasi: promossa, bocciata o rimandata a settembre?
Rimandata a settembre
Perchè
Manca una visione della città, che è ferma da trent’anni. Non parlo di abbellire le piazze con i vasi di fiori, parlo della Verona del futuro. Di una città che nel Veneto era la prima in termini di infrastrutture e, Venezia a parte, di offerta culturale di qualità. Adesso siamo ultimi. Sono stati abbandonati dalle varie amministrazioni strumenti che erano già pronti: il piano Vittorini per Verona sud, l’Arsenale quale sede del Museo di Storia naturale, di cui si parlava già negli anni ‘80, le caserme lasciate dai militari. Manca un disegno generale sulla Verona dei prossimi trent’anni. É questo il primo compito di un’amministrazione. Non devi pensare che ogni cosa la fai per il turismo: l’obiettivo dev’essere la città. E se poi arriva anche il turismo, ben venga".
Intervista a cura di Rossella Lazzarini