Il caso ILVA di Taranto,
che in questo ultimo
periodo sta riempiendo
tutti i notiziari e le
pagine dei giornali,
rappresenta un caso
emblematico di come due
diritti fondamentali
quali quello alla salute
dei cittadini e il
diritto al lavoro siano
messi in
discussione e in
contraddizione tra
loro da
parte della finanza
privata e del
capitalismo per puri
scopi speculativi e per
trarne dei
vantaggi
economici.
In questa vicenda
quattro sono i grandi
attori coinvolti; il
primo è la proprietà
dell’acciaieria, la Soc.
RIVA, la finanza e il
capitalismo italiano, il
secondo è composto dalla
cittadinanza e dalla
gente di Taranto, il
terzo è il potere
politico locale e
nazionale, con i suoi
intrecci con i media,
l’informazione e la
stampa, mentre il quarto
è rappresentato dalla
magistratura.
Per quanto riguarda il
primo vale la pena fare
un breve excursus
storico di questa
acciaieria tarantina e
per rendersi conto della
sua importanza
nell’economia di quel
territorio.
Le acciaierie di Taranto
nascono circa 50 fa come
ITALSIDER, facendo parte
dell’industria di Stato
nota come IRI (Istituto
di Ricostruzione
Industriale), inaugurate
dall’allora Presidente
Saragat e, come in molti
altri casi
nell’industria pubblica,
oltre che rappresentare
uno sbocco occupazionale
viene utilizzata anche
come bacino clientelare
per le forze politiche.
Ma per dimostrare
abilità manageriali gli
allora dirigenti
vendevano l’acciaio di
Stato sottocosto,
creando di fatto un buco
enorme.
L’industria piena di
dipendenti e di debiti
produceva solo perdite e
non certo utili, i
bilanci dovettero essere
più volte risanati da
soldi pubblici; alla
fine degli anni 80
vennero mandati in
prepensionamento
centinaia di dipendenti,
anche coloro che avevano
una età di 45/50 anni e
in alcuni casi
addirittura con solo una
decina di anni di
anzianità contributiva.
Questo inesorabile
destino mise una pietra
tombale alla siderurgia
pubblica e preparò il
terreno alla sua messa
sul mercato e alla
privatizzazione
dell’ITALSIDER, con
l’acquisto degli
impianti principalmente
da due grossi gruppi: il
primo, ThyssenKrupp (proprio
quello dell’incendio a
Torino dove nel dicembre
2007 morirono tra atroci
sofferenze 7 operai) con
stabilimenti a Torino e
Terni e il secondo, Riva
Acciai,che tramite le
sue controllate come
l’ILVA acquisisce tra
l’altro gli stabilimenti
di Taranto, Genova e
Bagnoli.
Parliamo ora del secondo attore, cioè la
popolazione, cominciando nel dire che la
realizzazione del complesso siderurgico creò
una duplice serie di problematiche alla
città legate da un lato all’inquinamento
ambientale e dall’altro alla modifica del
tessuto sociale, con la chiusura di molte
botteghe artigiane e la scomparsa di
numerosi mestieri.
La gente si era illusa di trovare lavoro
facilmente; la presenza dell’ILVA, dell’ENI
con una delle più grandi raffinerie del
Mediterraneo, la Cementir per la produzione
a larga scala di prodotti cementiferi, e la
base navale militare più grande d’Italia
portava a credere in una città ricca di
infrastrutture e senza problemi
occupazionali.
Ma purtroppo tutto questo non si è
realizzato; paradossalmente Taranto è ed è
stata fra le città con un più alto tasso di
disoccupazione a livello nazionale, circa il
30% .
L’inquinamento ambientale è la conseguenza
della tecnologia utilizzata per la
produzione dell’acciaio a Taranto che
prevede l’utilizzo degli altoforni (ce ne
sono ben 5) e di batterie di forni per cooke
(carbone fossile utilizzato per la creazione
della ghisa).
Questo comporta costi elevatissimi in
termini di inquinamento del terreno e
dell’aria (il 90% della diossina presente
sul territorio italiano viene prodotta dai
due stabilimenti ILVA di Taranto e Genova
senza considerare l’elevata emissione in
aria di pericolosissime sostanze quali
polveri sottili, acido cloridrico, anidride
solforosa e vari composti di cromo, tra i
quali il famigerato cromo esavalente, molto
tossico se respirato).
Gli effetti sulla popolazione si fecero
sentire a partire dalla fine degli anni 90
con un aumento considerevole di morti per
patologie cardiovascolari, patologie
respiratorie in particolare per i bambini,
tumori maligni in età pediatrica, tumori
alla laringe, ai polmoni, alla pleura, alla
vescica e leucemie.
Inoltre aumentarono in maniera significativa
le malattie neurologiche, quelle renali e il
tumore maligno allo stomaco tra i lavoratori
del complesso siderurgico.
Una città stravolta nel suo tessuto sociale
per l’assorbimento nell’acciaieria di tanta
manodopera, sottratta alla campagna, alla
pesca e alle botteghe artigiane e “uccisa”
nel suo territorio da veleni, diossina,
polveri e acidi; questa è ora Taranto.
Facile, quindi, è comprendere che la città
di Taranto e la sua popolazione sono le
uniche vere vittime di questa situazione
allucinante.
Quello che balza subito agli occhi è che
prima del sequestro degli impianti del polo
siderurgico da parte della Magistratura
nessun politico e sottolineo “nessuno” aveva
sentito l’esigenza di intervenire per
arginare lo scempio ecologico che metteva in
serio pericolo la vita dei cittadini.
Eppure numerosi sono stati gli appelli alle
autorità e alla Magistratura da parte di
comitati di cittadini, ma purtroppo sinora
inascoltati.
Ma mentre la Magistratura ha fatto la sua
parte, la politica dov’era?
Anche qui qualche distinguo è d’obbligo: la
Regione Puglia con il suo Governatore
Vendola ha già da qualche tempo intavolato
degli incontri con la dirigenza ILVA e la
Magistratura con l’obiettivo di trovare una
via d’uscita condivisa a questa
difficilissima situazione; al contrario il
Governo, nella persona del Ministro per
l’Ambiente Corrado Clini, si è mosso solo
dopo l’ordinanza del GIP Patrizia Todisco,
ma in un’ottica quasi di scontro e
delegittimazione dell’operato della
Magistratura.
Potrebbe forse essere chiarificatrice quanto
è emerso dalle intercettazioni ambientali
predisposte dal Tribunale di Taranto nei
confronti di alcuni dirigenti dell’ILVA, dai
quali scaturisce con evidenza un intreccio
tra poteri
forti e finanza, un sistema di potere
ramificato in grado di arrivare a chiunque.
Un potere, che stando alle parole del
responsabile alle comunicazione del gruppo
siderurgico, Dott. Archinà, arrivava ai
politici, ai sindacalisti e ai giornalisti,
“per oleare” il sistema a tutto vantaggio
dell’ILVA.
Alcuni stralci di intercettazioni
telefoniche fanno clamore e riguardano
appunto l’attuale Ministro dell’Ambiente. “Clini
è uomo nostro” disse Archinà alcuni anni
orsono parlando con un altro dirigente dell’
ILVA; a dovere di cronaca queste
affermazioni sono state categoricamente
smentite dal Ministro che all’epoca era
Direttore Generale del Ministero
dell’Ambiente .
Ma fanno riflettere,
perchè sembrano implicitamente avvalorare
quanto sopra riportato, le parole
pronunciate dal Ministro nel corso della sua
informativa alla Camera degli scorsi giorni
“Gli impatti ambientali della produzione
Ilva a Taranto sono evidenti ma gli impianti
all'epoca dell'insorgere delle patolgie
tumorali aumentate in quella zona erano a
norma e oggi è
una relazione ancora aperta da accertare
quella del rapporto di causa effetto fra
danni ambientali, rischi per la salute umana
e aumento delle patologie tumorali"
E’ ormai evidente che tutto il sistema di
corruzione messo in piedi dal gruppo
siderurgico passava dalle mani di Archinà,
che aveva preso di mira anche il
responsabile dell’ARPA tarantina, l’agenzia
territoriale per la prevenzione del
territorio; “Assennato (resp. dell’ARPA) lo
dobbiamo distruggere” ebbe a dire, mentre
nei confronti dei giornalisti “ Ancora
una volta ho avuto ragione, ho sempre detto
che
bisogna pagare i giornalisti per tagliargli
la lingua".
Arriviamo ora alla Magistratura; il
Tribunale di Taranto ha dovuto sopperire
alle carenze della politica e all’oblio
dell’informazione e prendere di petto la
situazione prima che altri disastri
ambientali si potessero sommare agli attuali.
Finanziare, o per dire come Articà “oliare”
era diventata dunque una prassi comune ed è
stata utilizzata sia come gestione del
potere sia per avere mano libera in quella
politica industriale fatta di guadagni senza
badare ai costi ambientali.
Diciamo che era un atto dovuto, un obbligo
dopo le varie denuncie presentate da
associazioni e di fronte ai dati
incontrovertibili delle morti che anche la
scienza ormai imputava allo stabilimento
siderurgico.
Ha applicato la legge eppure contro di essa
si è levata una campagna discriminatoria
assurda che ha messo in contrapposizione il
lavoro e la salute.
“Se chiude l’ILVA di Taranto chiude la
siderurgia italiana e crolla buona parte del
PIL italiano” è l’argomento attualmente più
utilizzato per fare pressioni contro la
magistratura; è un argomento assolutamente
pretestuoso, utilizzato purtroppo anche dal
nostro Governo,
con
l’intenzione di far passare il messaggio che
i giudici avevano messi i sigilli agli
impianti e tutti sarebbero rimasti senza
lavoro.
Purtroppo bisogna dire che anche una parte
dei sindacati si sono prestati a questo
gioco al massacro; con la paura di perdere
posti di lavoro hanno sacrificato il ruolo
indipendente della Magistratura e si sono
prestati a questa forzatura assurda.
E' stata una vergogna!
Non sarebbe più logico e corretto che queste
forze politiche e sindacali smettano
di organizzare manifestazioni di protesta
per contestare le decisioni dei giudici e
siano invece a chiedere e pretendere rigore
e severità contro i profittatori, rispetto
dei diritti e delle leggi, norme precise e
correttezza nelle procedure nei confronti di
coloro che fino ad oggi hanno goduto di
grandi vantaggi economici creando però un
dissesto ambientale che ricadrà, oltre che
sulla salute dei cittadini tarantini, anche
sulle tasche della comunità?
Forse non aspetta in primo luogo proprio a
loro finanziare le necessarie opere di
bonifica territoriale?
Ma per fortuna a Taranto c’è un giudice di
nome Patrizia Todisco che, assieme al
Procuratore generale di Lecce, non hanno
avuto il timore di mettere la propria faccia
e sfidare il linciaggio mediatico per
spiegare che “non c’erano alternative legali”
al sequestro degli impianti e all’arresto
dei vertici dell’ILVA.
Bene quindi a quanto sta facendo al giunta
regionale Vendola per tornare lentamente
alla normalità; la soluzione sta
nell’applicare quanto previsto dalla
Magistratura in tema di recupero ambientale
del territorio e l’ILVA in tal senso deve
presentare un apposito piano degli
interventi, con una tempistica certa.
Il Governo, con il Decreto Taranto, e la
Regione Puglia con il piano Vendola,
unitamente con la disponibilità manifestata
dai vertici dell’ILVA, la Magistratura che
lavora senza subire condizionamenti, un
adeguato piano di riconversione industriale
e un nuovo piano di sviluppo della città
mediante il rilancio dell’artigianato,del
turismo, della cultura, consentiranno in un
futuro prossimo la rinascita della città.
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Protocollo
di intesa
Ministero
dell'Ambiente
e ILVA |
Consulta qui |
Il ministro Corrado
Clini nel suo intervento alla Camera