Il compagno Di Lello lascia il PSI per entrare nel Partito Democratico |
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IL COMPAGNO DI LELLO, COORDINATORE NAZIONALE DEL PSI E SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA, LASCIA IL NOSTRO PARTITO PER ADERIRE AL PARTITO DEMOCRATICO SPIEGANDO LE MOTIVAZIONI DI QUESTA SUA DECISIONE IN UNA LETTERA APERTA AGLI EX COMPAGNI DI PARTITO " I socialisti non possono limitarsi a fare testimonianza, perchè siamo eredi di una grande storia e di una grande tradizione. E da quando Renzi ha aderito al PSE ogni alibi è caduto; per questo proporrò al mio partito di entrare nel Partito Democratico ". Chi pronuncia queste esplicite parole è il compagno Di Lello che ha annunciato in questi giorni di lasciare il nostro partito per aderire al Partito Democratico; al momento questa decisione appare isolata e non raccoglie adesioni nel PSI ma non per questo non deve farci riflettere. Appare difficile per noi socialisti, legati al nome e alla storia del PSI, comprendere le ragioni di tale decisione, ma non dobbiamo cadere nel facile tentativo di demonizzare e giudicare aprioristicamente la scelta del compagno Di Lello. Sappiamo infatti cosa significa abbandonare le nostre idee per approdare verso altri lidi e molti di noi, purtroppo, a tempo opportuno l'hanno effettivamente fatto; le scelte politiche non sempre si possono immediatamente comprendere e non contemplano facili giudizi o condanne, bisogna solo cercare di comprendere. Ma quelli rimasti lo sono stati per una idea che nonostante abbia superato i cento anni e sia sopravvissuta indenne al crollo delle grande ideologie rappresenta ancora un grande ideale di libertà e giustizia; sono rimasti negli anni difficili che hanno seguito i fasti degli anni '80 e sono rimasti per ricostruire l'identità del nostro partito e per un PSI al servizio dell'Italia. Di seguito, con l'intento di comprendere e non giudicare, la lettera aperta del compagno Di Lello ai socialisti. " Cara compagna e caro compagno, ti invio questa mail per spiegare meglio il senso della mia intervista riportata dal Corriere della Sera lo scorso 31 luglio. Il socialismo italiano ha varcato il secolo XXI grazie all’azione e alla passione di chi, tra tante vicende drammatiche e con tanti sacrifici personali, si è impegnato a mantenere vivo ed autonomo un movimento politico tra i più importanti della storia d’Italia. Il principale merito spetta al PSI che ha continuato a rappresentare nella sinistra italiana, nell’Internazionale Socialista e nel Partito socialista europeo una fondamentale tradizione politica. Con questo spirito abbiamo cercato di dare una prospettiva alle idee dei nostri padri fondatori che, fin dalla nascita del partito alla fine dell’Ottocento, combattevano per dare la speranza di un futuro migliore a chi viveva in condizioni di grande disagio sociale ed economico. Gli “ultimi”. E per venti anni abbiamo provato in ogni modo a dare un futuro al pensiero e alla comunità socialista. Dagli anni ’80 abbiamo sempre lo stesso problema: la costituzione in Italia di una forza riformista, maggioritaria, secondo il modello delle socialdemocrazie europee, che sapesse soddisfare le nuove richieste di un mondo che avanza e nel quale però non automaticamente vi è più libertà, più giustizia sociale, più benessere, più sicurezza e più pace. Anzi, a fronte della rapida accelerazione del cambiamento della società, si assiste all’aumento vertiginoso delle disuguaglianze sociali, si restringono e si spostano i centri di decisione, si registra l’acutizzazione dei conflitti sociali, interetnici, religiosi e geopolitici. In questo quadro sarebbe un errore irreparabile fare un’opera di pura resistenza al cambiamento o peggio ancora pensare che piccole, se pur importanti, realtà nazionali possano far fronte alle sfide globali del nuovo millennio. Vanno ricercate nuove formule di organizzazione sociale (quindi anche politica) e la sfida tra conservatorismo e modernità diviene, quindi, per noi socialisti il terreno su cui rilanciare l'azione politica consci che per porre freno ad una deriva populistica e qualunquistica bisogna ricercare convergenze ampie su questioni che rappresentano, in ambito non più nazionale ma europeo, il "minimo comune multiplo". Questa sfida impone che il gruppo dirigente del PSI conduca una seria e profonda riflessione sull’adeguatezza della propria proposta politica e organizzativa a rispondere pienamente ai compiti che gli derivano sul piano politico. Per questo scopo dobbiamo porci almeno due domande. Si può perseguire questo obiettivo in autonomia - o meglio solitudine - e pensare di farlo senza il Pd, che è l’unica forza di centrosinistra organizzata (alla sua sinistra c’è solo una diaspora di forze personali, quelle di Vendola, di Fassina e di Civati…ognuno la propria piccola “ditta” cui si aggiunge, certamente con maggiore nobiltà, il PSI, che è un’altra piccola forza non suscettibile di crescita)? La seconda domanda: il Pd ha risolto ormai definitivamente la questione con la sua esistenza ed è adeguatamente rappresentativo delle tante emergenze sociali che affliggono il paese? La risposta ad entrambe è “no”. Non si può prescindere dal Pd, ma non si può essere soddisfatti del Pd così come è. Non basta la “modernità” renziana che va capita e con cui bisogna saper interloquire. Ma il rischio è che se non è poggiata su profonde radici rischia di trovarsi spiazzata da ulteriori mutamenti di scenario. In questi anni, nel partito laburista britannico come nella SPD, le versioni “moderne” degli anni 90 sono già state sottoposte a critica. Il leader, l’aggiornamento 2.0 del modello conta, ma più di tutto conta l’identità e la “vision” di fondo, e quella non si cambia ogni cinque o dieci anni con qualche "svolta". Non è marketing, non è cambiamento per il cambiamento: è una “vision” secolare, di giustizia sociale, solidarietà, diritti. Proprio la “vision” è, senza presunzione alcuna, il valore aggiunto che i socialisti, forti della propria tradizione, possono e debbono apportare per affrontare la grande sfida per il cambiamento nel quadro di una alleanza strategica con il PD con cui condividono l’appartenenza alla grande famiglia del socialismo europeo e internazionale. Obiettivi che il PSI non scopre ora e che da sempre sono patrimonio del proprio impegno politico e parlamentare a partire dalla costruzione di una Europa madre e non matrigna per i suoi cittadini, fondata sui valori della solidarietà e della partecipazione, al ruolo che l’Italia deve saper svolgere nel Mediterraneo; da una nuova “vision” sui diritti civili che sappia dare risposte in tema di unioni civili, di PACS per tutti, di fine vita, di jus soli, di fecondazione assistita alla rinnovata tensione garantista che sappia tutelare, non a fasi alterne, i diritti recitati in Costituzione; dalla difesa della salute per tutti, soprattutto per coloro che si trovano in condizioni di difficoltà e di emarginazione, ad una nuova politica per lo sviluppo che possa eliminare il pesante fardello della disoccupazione e restituire ai giovani la speranza di un futuro migliore. Sono solo alcuni degli ambiti di azione che non esauriscono il compito che ci viene affidato, ma che, invece, mi induce a immaginare per il PSI, l’obiettivo ambizioso di poter svolgere un ruolo che non sia di mera testimonianza, ma che sappia invece rendere fecondo il prezioso patrimonio ideale e politico ricevuto. Non si tratta di tenere “comunque” aperta la bottega come altri protagonisti usano dire: la politica non è bottega, è bene comune, è parlare a tanti, se non a tutti. A differenza di quanto affermano alcuni zelanti polemisti, che si sono affrettati a marcare in modo acritico la propria distanza dai contenuti dell’intervista e non hanno saputo o voluto cogliere l’occasione che ho offerto per animare un dibattito interno da lungo tempo assente, tali mie riflessioni, note da tempo al Segretario del partito, sono state palesate pubblicamente in più occasioni (ad esempio al convegno “La libertà degli uguali” tenutosi a Roma il 3 luglio) e, inoltre, ampiamente esposte nella riunione della segreteria nazionale del 27 luglio. E siccome non mi rassegno, approfitto di queste righe per riprovarci ancora una volta. A questa mia sfida che ha l’ambizione di proiettare nel futuro, da protagonista, la comunità dei socialisti sono state contrapposte prospettive fondate su ipotesi di alleanza o innaturali, quale quella con Dellai e Tabacci, o anacronistiche, quale quella di una rinnovata Sinistra arcobaleno con Ferrero, Fassina e Landini. L’unica prospettiva praticata prevede un tentativo d’accordo al ribasso da rincorrere qualche settimana prima del voto. Anche l’ipotesi di un percorso autonomo, che per tanti anni io per primo ho contribuito a perseguire, appare, nella realtà non più praticabile per le soglie di sbarramento della legge elettorale, la carenza di risorse ma, soprattutto per i cambiamenti avvenuti nella società italiana, sempre meno ideologizzata. L’ambizione, quindi, è di far parte di una grande forza, “senza alcuna conversione”, sicuri di poter portare un’esperienza e un contributo politico e culturale, che il PD oggi stenta a rappresentare, affinché quella “vision” universale, generale, che noi chiamiamo socialismo abbia uno strumento politico per esprimersi. Il Pd è oggi la cosa più vicina a un grande partito popolare e riformista. Credo che oggi un Nenni o un Turati non avrebbero dubbi su dove portare la loro battaglia. Senza subalternità. Occorre avere coraggio per buttare il cuore oltre l’ostacolo: “rinnovarsi o perire” era il monito di Pietro Nenni. Oggi la scelta che abbiamo davanti è tra la custodia gelosa dell’ortodossia socialista, che porta ad una fine per consunzione, settimana dopo settimana, oppure far vivere, ed incidere, il socialismo in un grande partito riformista iscritto al PSE. Questo il pensiero che volevo condividere con voi. Ciascuno rifletta. Fraternamente Marco Di Lello Per saperne di più:
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