Bettino Craxi a 25 anni dalla morte - Una eredità complessa

La storia del leader del PSI torna ciclicamente. A 25 anni dalla scomparsa riflettere sul passato senza pregiudizi rimane essenziale per superare alcuni stereotipi


Bettino Craxi, a venticinque anni dalla scomparsa, è ancora oggi una figura che divide l’opinione pubblica.
Il suo nome continua a evocare sentimenti contrastanti; da un lato, noi socialisti lo ricordiamo come un innovatore, un politico che ha saputo dare impulso all’Italia negli anni ’80, dall’altro, i critici lo etichettano come simbolo di un’epoca di corruzione e malaffare, culminata nello scandalo di Mani Pulite.
Al Senato, in questi giorni, la presentazione di due libri su Craxi che confermano quanto sia ancora dibattuta la sua figura politica e umana.
Il primo è del giornalista Aldo Cazzullo "Craxi, l’ultimo vero politico”, di cui abbiamo già parlato in un nostro precedente articolo ( Craxi e Cazzullo) e l'altro è della figlia Stefania Craxi "All’ombra della storia. La mia vita tra politica e affetti" in cui la stessa, nel suo intervento di presentazione in Senato dice ""Occorre sanare un'ipocrisia: o Craxi è uno statista o era un corrotto. Le due cose insieme non ci possono stare, non possono stare insieme Craxi e la beatificazione di Mani pulite"" a conferma di quanto la figura di Bettino Craxi sia complessa e sfaccettata.
Anche Riccardo Nencini interviene nel dibattito pubblicando un articolo su "Linkiesta" dello scorso 8 gennaio dal titolo "Il mito di Craxi a venticinque anni dalla sua morte" chedi seguito riportiamo.

" Se non sai approfittarne, il tempo non è galantuomo. Immagina gli anniversari. Spesso si ricorda il passato, un fatto, un uomo o una donna, senza scavare davvero in profondità, accontentandoci di una visione parziale, datata, più o meno la colonna di ciechi dipinta da Bruegel il Vecchio. Dominati dalla cronaca, abbiamo dimenticato la lezione della storia: contestualizzare gli eventi, combattere il presentismo, interpretare i fatti rinunciando a dosi acute di partigianeria, tenendo comunque presente la doppia lezione di Julian Barnes: «La storia è fatta delle menzogne dei vincitori e delle illusioni dei vinti» e, di seguito, «La storia è come un panino con la cipolla cruda. Torna su».
La storia politica di Bettino Craxi è stata infarcita di bugie, di interpretazioni che col passare degli anni si sono rivelate sbagliate, ed è per questo che è destinata a tornare su, appunto. Torna su nelle parole di Giuseppe De Rita: «Distruggere la Prima Repubblica è stata una mossa antistorica, cioè la volontà di smentire la capacità di andare oltre. Tangentopoli rappresenta la rottura delle due culture di governo: la cultura democristiana e la cultura del craxismo visto come ciclo nuovo, perché in fondo Craxi pensava a un’Italia oltre quella che aveva ereditato. Entrambe avevano il mito dell’oltre, un mito della modernità». Un mito scomparso.
Torna su nelle riflessioni di un manipolo di economisti, da Filippo Mazzotti a Francesco Forte a Gianfranco Polillo, quando collegano alla fine di Craxi e agli esiti di tangentopoli la svendita di pezzi pregiati dell’industria italiana a cominciare da autostrade e telefonia.
Torna su rileggendo gli scritti di autorevoli leader europei, da Felipe González a Jacques Delors, che ricordo personalmente, sulle politiche indispensabili per dare peso all’Unione europea e sulle relazioni internazionali da intrattenere, soprattutto nel quadrante medio orientale, per garantire la pace.
Torna su nel confronto con l’assenza di visione della politica attuale, immersa nel giorno dopo giorno quando servirebbe un progetto per affrontare i tornanti della rivoluzione tecnologica in corso.
E torna su nel dibattito a sinistra, da un lato proteso nella rivalutazione di Enrico Berlinguer in alternativa alla cultura riformista del tempo, dall’altro incastrato tra la proposta di Landini, «Vogliamo fare la rivolta sociale», e un’attenzione esclusiva ai diritti civili, nell’oblio di una questione sociale che è parte fondante del suo dna.
Non c’è cosa peggiore che essere sconfitti dopo che la storia ha seguito le tue orme affondando nel baratro il comunismo e i suoi eredi. Una ragione in più perché quest’anno, nel venticinquesimo dalla morte, se non si riesce a scrivere la verità, almeno ci si astenga dalle banalità. "


Riccardo Nencini - "Linkiesta", 8 gennaio '25

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